Un affare di famiglia ⋅ Un film di Hirokazu Kore-eda

Per confronti, somiglianze e differenze con il grande Ozu vi rinviamo a quasi tutte le recensioni pubblicate sinora. Per quanto riguarda, invece, l’ultima opera del regista/sceneggiatore Hirokazu Kore-eda, pare la versione familista e disfunzionale di Oliver Twist: le vicissitudini di una famigliola del sottoproletariato giapponese che tira avanti tra ricatti e furtarelli e rapimento di minori. Detto così pare brutto, ma l’autore ribalta il punto di vista, leggendo la vicenda in positivo e così facendo della famiglia Shibata il simbolo dell’umanità, degli affetti della protezione, contrapposta al mondo esterno, freddo e ostile, ben rappresentato da una giustizia meccanica e priva di empatia.

Hirokazu Kore-eda

Kore-eda utilizza quindi gli interni della catapecchia dei protagonisti, casupola schiacciata tra orrendi condomini, con afflato favolistico, facendone un rifugio caldo e disordinato: le sequenze della vita domestica sono straordinarie, tutte girate ad altezza suolo in spazi angusti ed indefiniti, la m.d.p. passa da mucchi di indumenti che nascondono il tatami ai volti dei protagonisti, inseguendoli tra le pareti a scomparsa, svelando un letto nell’armadio, disvelandone intimità e debolezze, passioni e segreti, bugie e rimpianti. Così l’autore rende questa “comunità” autosufficiente, una sorta di autarchia criminale che la rende coesa e funzionale, pur se abbandonata a una deriva umana che costituisce l’accenno critico dell’autore nei confronti della società giapponese contemporanea.

Sono ben lontane le luminarie di Ginza, i giovani trendy, i locali ipermoderni: il Giappone di Kore-eda pare senza tempo perché è quello dei poveri, dei diseredati, degli orfani, dei maltrattati, di tutti coloro lasciati indietro dalla modernità, dalla tecnologia, dalla moda: un “intellettuale vero” parlerebbe di realismo post-moderno. Realismo intaccato, come detto prima, da accenti favolistici, da alcune incongruenze narrative e da comode semplificazioni, specialmente nell’ultima parte che risolve le questioni giudiziarie con evidente superficialità.
Ma evidentemente non è questo che interessa all’autore, ancora una volta alle prese con i vincoli famigliari, le relazioni tra persone legate non dalla genetica, ma dalla vita stessa, una famiglia “di necessità”, un’oasi di umanità ove si rifugiano gli emarginati, i non voluti, i “criminali”, in cui i segreti e le bugie perdono ogni connotato negativo per diventare il collante, l’estrema difesa di una famiglia tanto falsa quanto unita.

Infine, bisogna sottolineare la corale bravura degli interpreti e il fatto che, forse, il prosaico spettatore occidentale, seppur amante della laconica lentezza orientale, avrebbe gradito una ventina di minuti in meno.

Hirokazu Kore-eda

© CultFrame 09/2018

TRAMA
Una famiglia che fatica ad arrivare alla fine del mese cerca di far quadrare i conti commettendo piccoli furtarelli nei negozi. Quando incontrano una ragazzina che pensano essere senza casa, sono felici di accoglierla in casa, ma presto scoprono la verità su di lei e alcuni segreti vengono alla luce.


CREDITI

Titolo: Un affare di famiglia / Titolo originale: Manbiki Kazoku / Regìa: Hirokazu Kore-eda / Sceneggiatura: Hirokazu Kore-eda / Fotografia: Ryuto Kondo / Montaggio: Hirokazu Kore-eda / Scenografia: Keiko Mitsumatsu / Musica: Haruomi Hosono / Interpreti principali: Kirin Kiki, Lily Franky, Sosuke Ikematsu, Akira Emoto, Mayu Matsuoka, Yoko Moriguchi / Produzione: Aoi Promotion, Fuji Television, Gaga / Distribuzione: BIM / Paese: Giappone, 2018 / Durata: 121 min.

SUL WEB
Sito ufficiale del film Manbiki Kazoku (Un affare di famiglia)
Filmogarfia di Hirokazu Kore-eda
BIM Distribuzione

0 Shares: